I NOSTRI COMUNICATI

 

Cultura

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La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato al castello di San Sebastiano da Po. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina
http://www.cittametropolitana.torino.it/speciali/2021/riflettori_restauri_arte/
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IL CASTELLO DI SAN SEBASTIANO DA PO, LUOGO BELLO E IMPERFETTO


Questa settima la rubrica dei restauri d’arte ci porta a San Sebastiano da Po, suggestivo Comune nel cui territorio la Collina torinese incontra le prime propaggini del Monferrato. Nella frazione Villa, che è centro storico e capoluogo, sorge il castello, le cui origini risalgono al X secolo, quando il paese faceva parte del Marchesato del Monferrato. I primi documenti relativi all’abitato di San Sebastiano lo pongono sotto la signoria dei Radicati. Nei secoli successivi San Sebastiano fu teatro delle guerre per la supremazia sul Piemonte, prima fra i Savoia e i marchesi del Monferrato poi tra spagnoli e francesi. Le sorti del castello in quel periodo non sono documentate. È precisa, invece, la data del 1761, anno in cui il conte di San Sebastiano, Paolo Federico Novarina, incaricò l’architetto Bernardo Vittone, esponente di punta del barocco piemontese, di ristrutturare l’intero complesso, dopo averlo visto all’opera nella ristrutturazione dell’attigua chiesa parrocchiale.
Luca Garrone, attuale proprietario del maniero, ha raccontato nell’intervista per il reportage che il periodo di massimo splendore per il castello fu quello all’inizio del secolo XIX, quando vennero commissionati lavori ad alcuni dei più noti artisti del tempo. Pietro Bagetti, pittore ed architetto piemontese, affrescò la galleria, mentre nel 1810 Xavier Kurten, architetto paesaggista tedesco, disegnò il parco, che divenne presto campo di studio della Facoltà di Botanica dell’Università degli Studi di Torino. Nel parco è ancora presente un giardino all’italiana con un parterre di bossi e rose. All’epoca del suo massimo splendore, il castello ospitò fino a 3000 specie di piante e fiori. Oggi sono ancora presenti un frutteto (a ricordo dei medioevali pomari) e una serra a fianco del tempietto neoclassico, che ha la funzione di consentire l’accesso ad un’altra sezione del giardino. La struttura che delimita il percorso che porta al parco è il tinaggio, un ampio locale dove venivano tenuti i tini contenenti l’uva dei vicini vigneti nella fase della fermentazione.
I recenti restauri del complesso sono merito della famiglia Garrone, che dal 1986 dedica tutte le proprie energie per mantenere e conservare al meglio il Castello.
Terminati il ripristino e il consolidamento di tutte le coperture, i restauri sono in continuo divenire. Nei mesi di chiusura a causa del lockdown, sono iniziati i lavori nella stanza che ospita una meridiana a camera scura, un orologio solare orizzontale posto all’interno di un locale dalla cui parete, attraverso un foro, entra il raggio solare. Lorologio solare è composto dal quadrante rappresentato dal pavimento e dalla sola linea del mezzodì, quella delle ore 12 del tempo vero locale, che ha direzione Nord-Sud ed è giustamente detta meridiana.
Presto i lavori di restauro saranno conclusi e sarà possibile approfittare di una gita fuori porta per ammirare anche i gioielli storici e architettonici che sorgono nelle vicinanze: l’abbazia di Vezzolano, quella di Santa Fede a Cavagnolo e, a soli 6 Km da San Sebastiano e nel territorio del Comune di Monteu da Po, l’area archeologica della città romana di Industria, con il foro e il tempio di Iside.

castello San Sebastiano da Po 1

 

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Movimenti è il titolo del nuovo cartellone di concerti dal vivo dell’Accademia di Musica di Pinerolo diretta da Laura Richaud, un invito a rimettersi in cammino, ad attraversare e lasciarsi attraversare da paesaggi sonori differenti, condividendo finalmente l’emozione dell’ascolto. Gli 8 concerti in programma tra maggio e luglio 2021 a Pinerolo, in parte nell’ambito della Stagione concertistica 2020/21, sperimentano infatti organici e ambiti musicali distanti fra loro, spaziando da Beethoven all’improvvisazione jazzistica, da Schubert alla musica klezmer, grazie al talento di importanti artisti di fama internazionale. Si parte martedì 18 maggio alle ore 20,00 nella sala concerti dell’Accademia di Musica di Pinerolo con la pianista Mariangela Vacatello, esibitasi in alcune tra le più importanti stagioni concertistiche del mondo, riconosciuta per la curiosità e versatilità degli orizzonti esecutivi, per il virtuosismo e la passione che si ritrovano in ogni brano che inserisce nel suo repertorio. Si prosegue una settimana dopo, martedì 25 maggio, sempre alle ore 20,00, in Accademia con un solista del calibro di Gabriele Mirabassi, da più di trent’anni al vertice tra i migliori clarinettisti del panorama mondiale, sostenuto dal magma sonoro e creativo di Simone Zanchini, considerato uno dei più originali e innovativi fisarmonicisti della scena internazionale. La promessa è quella di musica da camera tra improvvisazione, jazz, musica colta, popolare, sudamericana e radici italiane. Domenica 30 maggio alle ore 16,30 nel cortile della Firad - Diesel Fuel Injection sotto l’arco dello scultore Elio Garis, l’appuntamento è con Schubert, Vivaldi e l’energia dell’Orchestra da Camera Accademia, che ovunque riscuote grande successo di pubblico e critica. Maestro concertatore è Adrian Pinzaru, primo violino del Delian Quartett e docente dell’Accademia di Musica di Pinerolo. Violino solista è la giovanissima Flavia Napolitano, già vincitrice di primi premi assoluti in concorsi nazionali e internazionali. Movimenti prosegue anche a giugno (lunedì 7, martedì 8, lunedì 14 e martedì 22) e a luglio (mercoledì 7 luglio).

A causa della capienza ridotta della sala in seguito alle misure per il contenimento della pandemia da Covid-19, al fine di poter garantire la sicurezza e la salute di tutti, l’accesso ai concerti è possibile solo con mascherina chirurgica o Fpp2 e su prenotazione all’indirizzo noemi.dagostino@accademiadimusica.it o telefonando al numero 0121321040. Prima dell’accesso alla sala concerti sarà effettuata, dal personale addetto, la misurazione della temperatura. L’attività concertistica dell’Accademia di Musica è realizzata con il contributo di Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il contributo e il patrocinio di Città di Pinerolo.

Dal 14 al 30 luglio a Bardonecchia torna anche Musica d’Estate
Si sono infatti aperte, come ogni anno, le iscrizioni al campus estivo organizzato dall’Accademia di Musica di Pinerolo rivolto a giovani musicisti provenienti da tutto il mondo che potranno prendere parte alle masterclass residenziali di alto perfezionamento di pianoforte, violino, violoncello, corno e musica da camera tenute da docenti di fama internazionale. Un percorso di studi che si avvale anche della collaborazione di Città metropolitana di Torino che a Torino in Palazzo Cisterna, sede aulica dell’ente, mette a disposizione delle lezioni di perfezionamento due meravigliose sale auliche affrescate da Francesco Gonin.

Info https://accademiadimusica.it/

 

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Sabato 15 maggio sarà presentato il nuovo logo del Polo culturale, bibliotecario e dell’Ecomuseo del rame, lavoro e Resistenza di Alpette.
Il Comune di Alpette aveva indetto un bando che si è chiuso a fine marzo: l'iniziativa si colloca nel progetto più ampio di sviluppo delle potenzialità culturali e turistiche della piccola cittadina canavese, dopo l'inaugurazione nell’ottobre scorso del nuovo salone che ospita la biblioteca civica arricchita dei 2mila volumi provenienti da fondi delle famiglie Berlanda, Pecchioli, Pugno, grandi figure partigiane.
Alpette è impegnata anche nella ristrutturazione di nuovi locali da destinare all'espansione dell'Ecomuseo del rame, lavoro e Resistenza con nuovi allestimenti, grazie all'inserimento da parte di Città metropolitana di Torino nel piano tematico Pa.C.E. finanziato dal programma transfrontaliero Alcotra Italia Francia.
L’occasione della presentazione del nuovo logo vedrà sabato 15 maggio un pomeriggio intenso, dedicato ai temi della Liberazione: a partire dalle ore 14 l’apertura straordinaria dell’Ecomuseo, alle 15 nel teatro comunale dopo i saluti di Silvio Varetto, sindaco di Alpette e presidente dell’Unione Montana Gran Paradiso e di Evaristo Giardina, segretario della sezione ANPI di Alpette la presentazione in anteprima del libro di Giovanni Perino, "Il Tricolore sulla pelle. Diario di una vita partigiana" alla presenza della curatrice Rosanna Tappero in dialogo con Maria Pina Braggio, autrice del libro "Valori e ideali di una famiglia".
Infine la premiazione di quanti hanno partecipato al concorso. Coordina i lavori Francesco Aceti, direttore del Polo Culturale.
 

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Un racconto sull'agenzia settimanale di Città metropolitana

Giovanni Pastrone, autore e produttore del kolossal del cinema muto Cabiria, non possedeva solo la famosa villa liberty di Groscavallo, ultimo paese della Val Grande di Lanzo, ma anche una meno nota abitazione a Torino. Nelle Valli di Lanzo, Villa Pastrone è un importante punto di riferimento per gli abitanti e i villeggianti del luogo. Ma abbiamo scoperto una casa del famoso personaggio anche sulle pendici del Monte dei Cappuccini: proprio lì il grande pioniere della settima arte, cugino della nonna materna di una nota signora torinese, aveva fatto costruire un eccentrico edificio dove risiedette fino alla morte, avvenuta nel 1959.
Per approfondire, l’ultimo numero dell'agenzia settimanale della Città metropolitana di Torino a pagina 25.

(http://www.cittametropolitana.torino.it/ufstampa/cronache/).

Cultura

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla chiesa di Santa Chiara, gioiello architettonico settecentescoche sorge nel cuore di Torino, all’incrocio tra la via omonima e la via delle Orfane. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, ilvenerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina
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LA CHIESA DI SANTA CHIARA TRA RESTAURI E COABITAZIONE

Il luogo di cui tratta questa settimana la rubrica dedicata ai restauri d’arte racconta una storia di indubbio fascino religioso e architettonico, che, da qualche anno, ha un legame forte con un progetto di accoglienza e coabitazione portato avanti dai volontari del Gruppo Abele. Accompagnata dallo storico dell’architettura Edoardo Piccoli, la troupe della Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino ha approfondito la storia della chiesa di Santa Chiara, uno degli spazi più affascinanti del Settecento torinese. Anche se probabilmente meno grandioso e monumentale rispetto alle chiese juvarriane, si tratta di un piccolo edificio, realizzato tra il 1742 ed il 1745 dall’architetto Bernardo Antonio Vittone, che rispondeva perfettamente alla funzione di chiesa del convento femminile di clausura delle Clarisse. L’edificio non aveva la necessità di essere particolarmente grande, poiché non doveva accogliere le folle delle chiese parrocchiali ma un pubblico più ristretto, legato per motivi devozionali a Santa Chiara o per motivi familiari alle monache del convento.

Si trattava però di uno spazio non semplice da progettare, perché collocato in un angolo della città piuttosto buio e con strade molto strette. La soluzione adottata dall’architetto Vittone fu quella di realizzare un edificio molto snello e alto, con proporzioni quasi gotiche, per riuscire a captare la luce dalla cupola, quasi sospesa su alcuni piloni, facendola entrare attraverso grandi finestre e colare come fosse un fluido fino a terra.
A questa chiesa esteriore aperta ai fedeli e alla città, si aggiunge, alle spalle dell’altare principale, uno spazio normalmente chiamato coro, ma più propriamente chiesa interiore, dove le monache passavano parte delle loro giornate: uno spazio per la quotidianità del convento, che oggi, in seguito all’abbandono delle Clarisse e al successivo insediamento di ordini religiosi non più di clausura, non è più consacrato.
Alla chiesa esteriore e a quella interiore si aggiunge un terzo spazio, forse quello più inatteso, ovvero un deambulatorio che corre intorno alla chiesa, all'altezza dell'imposta della cupola: un luogo luminosissimo, in grado di accogliere la luce per portarla all’interno dell’aula principale e accessibile alle monache che, pur non potendo entrare in chiesa, potevano affacciarsi dall’alto.
I restauri appena conclusi e articolati in più lotti sono stati sostenuti dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, che ha inserito la chiesa di Santa Chiara nell’ampio progetto Edifici Sacri: un percorso di scoperta e meraviglia che si snoda tra le vie del centro storico torinese, tra i capolavori dell’arte e dell’architettura sacra.
Nel caso di Santa Chiara, i restauri hanno rivelato, se pur con qualche fenomeno di degrado, un edificio straordinariamente in buone condizioni. Scampata ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, al di sotto delle ridipinture otto-novecentesche la chiesa ha conservato ancora le finiture del Settecento: colori molto chiari a marmorino nelle parti in stucco e la tinta grigio-blu incorporata nell'ultimo strato di intonaco. Si rivela così oggi l'aspetto originario della chiesa con alcune integrazioni dell'Ottocento come le dorature, o dei primi del Novecento come gli altari, sostituiti e realizzati ex novo dopo la riconsacrazione dell’edificio.
La riconsacrazione è avvenuta negli anni ‘30 nel Novecento quando è stata acquistata dalla Congregazione della Piccole serve del Sacro Cuore di Gesù, che ne è tuttora in possesso e che dal 2015 ha concesso chiesa e convento in comodato d’uso all’associazione Gruppo Abele fondata da don Luigi Ciotti.
Da sei anni infatti, spiega Francesca Micheli, volontaria del Gruppo Abele che qui vive, questa struttura ospita un progetto di coabitazione: si tratta di un co-housing solidale per giovani che decidono di dedicare parte della propria vita all’accoglienza e alla condivisione degli spazi e del tempo, con altri giovani che si trovano in un momento di difficoltà. A questo si aggiunge l’ospitalità (anche se messa a dura prova negli ultimi tempi dalla pandemia) di gruppi scout che decidono di vivere un'esperienza di vita comunitaria e una forte apertura sul territorio per offrire ai ragazzi del quartiere spunti culturali. Sono proprio i giovani del co-housing, custodi di questo luogo, che si occupano di aprire la chiesa al pubblico e di animarla.chiesa Santa Chiara Torino 1

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La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla Cappella della Sindone, gioiello architettonico seicentesco nel cuore diTorino. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, ilvenerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina
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LA CAPPELLA DELLA SINDONE RITROVA IL SUO ALTARE

Nella Cappella della Sindone sono terminati i lavori per il recupero dell’altare progettato da Antonio Bertola, rimasto l’ultimo testimone del rogo che 24 anni fa danneggiò gravemente il gioiello barocco progettato da Guarino Guarini. Si conclude così un intervento di restauro strutturale e architettonico particolarmente complesso e impegnativo, che nel 2018 ha già consentito la riapertura al pubblico della cappella.
Sono serviti 333 giorni e quasi 11.0000 ore di lavoro, insieme ai contributi del Ministero della Cultura, della Fondazione Compagnia di San Paolo e della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi, per recuperare l'altare commissionato dal duca di Savoia Vittorio Amedeo II e progettato dall'ingegnere e matematico Antonio Bertola tra il 1688 e il 1694 per accogliere la Santa Sindone, conservata nell'urna centrale dal 1694 al 1993. Il suo impianto si adatta alla forma circolare della cappella e presenta due fronti: uno rivolto verso il Palazzo Reale e l’altro verso la cattedrale. Simile a un gigantesco reliquiario, l’altare è in marmo nero di Frabosa – le cui cave sono state appositamente riaperte per sostituire il materiale danneggiato dall’incendio – arricchito da decorazioni e sculture in legno dorato che risplendono nella penombra dell’aula centrale.
L’intervento di restauro, affidato al Consorzio San Luca di Torino, progettato e diretto dall’architetto Marina Feroggio con la restauratrice Tiziana Sandri e gli storici dell’arte Franco Gualano e Lorenza Santa dei Musei Reali, ha restituito all’altare la sua immagine architettonica: sono state restaurate e integrate le parti lapidee e quelle lignee e ricollocati nella loro posizione originaria gli apparati decorativi scultorei, scampati all’incendio perché ricoverati nell’attigua sacrestia.
Come ha raccontato nella videointervista l’architetto Marina Feroggio, dopo quasi cinque lustri hanno ritrovato la loro collocazione sulla balaustra anche gli otto putti recanti i simboli della Passione e due dei quattro angeli custodi realizzati tra il 1692 e 1694 dagli scultori di corte Francesco Borello e Cesare Neurone. Si è riusciti inoltre a ricomporre e ricostruire il meccanismo di scorrimento delle vetrate che servivano a proteggere la ferrata dorata all'interno della quale era custodita la cassetta contenente la reliquia. Sono infine stati ricollocati gli apparati successivi rispetto alla composizione dell'altare. rappresentati da quattro lampade d’argento, dal tabernacolo settecentesco e dall'inserimento dei paliotti.
Con il passaggio del Piemonte in zona gialla la Cappella della Sindone e il suo altare sono così rientrati nel percorso di visita dei Musei Reali. A breve, grazie a un progetto multimediale promosso dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, i visitatori potranno ricevere tutte le informazioni sul restauro e vivere un’esperienza coinvolgente attraverso un’applicazione mobile gratuita che utilizza la tecnologia della realtà aumentata, realizzata da Ribes Solutions e Visivalab.

LA STORIA DELLA CAPPELLA DELLA SINDONE

Fu il duca Carlo Emanuele I a commissionare nel primo decennio del Seicento la Cappella della Sindone all’architetto Carlo di Castellamonte per dare una sede definitiva alla prestigiosa reliquia, posseduta e custodita dai duchi di Savoia dal 1453 e trasferita da Chambéry a Torino nel 1578. Il progetto di Carlo di Castellamonte fu successivamente modificato dal figlio Amedeo e poi dal luganese Bernardino Quadri, al quale si deve la progettazione nel 1657 di un edificio a pianta circolare incastonato tra il palazzo ducale e l’abside della cattedrale di San Giovanni, sopraelevato al livello del piano nobile della residenza e funzionalmente collegato alla cattedrale da due scaloni. Nel 1667 il cantiere fu affidato alla direzione di Guarino Guarini che, sul volume già costruito dell’aula, impostò una geniale struttura formata da tre archi alternati a pennacchi, capace di alleggerire la massa muraria e sviluppare in altezza la cupola: una immaginifica struttura diafana, costituita da un reticolo di archi sovrapposti e sfalsati, proteso verso il cielo e permeato dalla luce.  I lavori si conclusero undici anni dopo la morte di Guarini, nel 1694, quando la Santa Sindone venne collocata all’interno della cappella e deposta nell’altare centrale progettato da Antonio Bertola.  MOV8610

Cultura

Su Cronache da Palazzo Cisterna un articolo della professoressa Claretta Coda

“Si sa pressoché tutto di Piero Gobetti, ma quasi nulla si sa, invece, dei suoi genitori, Giuseppe Giovanni Battista, da Andezeno, e Angela Luigia Canuto, torinese”. Comincia così l’articolo di Claretta Coda, docente al liceo Aldo Moro di Rivarolo Canavese, che uscirà su Cronache da Palazzo Cisterna venerdì prossimo e che indaga a fondo la triste vicenda del papà e della mamma del “prodigioso giovinetto”, come lo definì Norberto Bobbio: di Angela, che spirò dopo lunga malattia a Ivrea nei giorni dell’occupazione tedesca, il 23 settembre 1943, e di Giuseppe, sopravvissuto alla morte dell’unico figlio e della moglie e deceduto in povertà dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza.
«Ora sono a Torino senza casa e senza famiglia” si legge in una relazione scritta dallo stesso Giuseppe Gobetti per le autorità alleate alla fine della guerra, “cerco di lavorare, ma non trovo nulla perché sono troppo vecchio, e purtroppo è vero, ho 72 anni, e per campare la vita, oggi è un affare serio, non so più come fare, vedo tutto nero, siamo alle porte dell’inverno, mi trovo male in arnese, sono senza scarpe, o sono rotte”. Per approfondire la biografia dei genitori di Piero, la professoressa Coda attinge, oltre che alla relazione di cui sopra, al Ricordo di Gobettidi Manlio Brosio, alla biografia per immagini di Piero Gobetti scritta dal professor Pianciola, al Diario clandestino 1943-46 di Fulvio Borghetti, chimico antifascista torinese, e ai documenti conservati in Istoreto nel Fondo dello stesso Borghetti. “Il mosaico che prende forma grazie ai vari contributi è triste e bellissimo” commenta nel suo articolo, già uscito qualche tempo fa su Canavèis, Claretta Coda.
Giuseppe e Angela Gobetti gestivano una drogheria al numero 9 di via Bertola a Torino, lavoravano dalla mattina alla sera per garantire gli studi e un futuro dignitoso al figlio, che “seguivano con sguardo umile, adorante, quel figliolo che non pareva loro vero d’aver generato e di fronte al quale erano loro stessi i figli”, come ricorda un’altra testimonianza riportata dalla Coda nel suo articolo, quella di Edmondo Rho, uscita su un numero de “Il Ponte” del 1956.
Possiamo solo immaginare il dolore straziante dei genitori per la scomparsa del figlio Piero, morto a soli 25 anni, esule a Parigi, dopo aver subito due aggressioni a opera dei fascisti, oltre all’ostilità inflessibile del regime. Poi la malattia di Angela e la deriva della coppia verso la povertà. Nell’ottobre del 1942 la loro casa torinese, un ammezzato in piazza Carlina, fu bombardata, e dopo il ricovero in un dormitorio per sinistrati dovettero sfollare a Ivrea, aiutati un poco dall’Olivetti e dalla resistenza locale. Angela morì quasi subito in ospedale, Giuseppe aderì alla lotta partigiana aiutando diversi ex prigionieri di guerra alleati in fuga: “Pensavo che il comitato di Torino sbagliava dimenticando il padre di Piero Gobetti, registrato ad Ivrea come ‘sinistrato sfollato che vive di carità’. Anche se la chiedeva con dignità e l’accettava con imbarazzo” scrive Borghetti nel suo diario.
Davvero una vicenda emblematica, questa dei genitori Gobetti, dell’ingratitudine che il nostro paese ha spesso riservato alla sua parte migliore, a coloro che hanno dato tutto per la sua salvezza e la sua dignità, agli eroi silenziosi che l’hanno salvato dal baratro dell’ignominia in cui l’avevano scagliato il fascismo, una guerra scellerata e l’occupazione tedesca.
“Alla sera, vedendo il padre di Gobetti, cerco di immaginare la strada vuota su cui cammina da venticinque anni e ricordo come da solo potrebbe personificare le ingiustizie subite dagli italiani negli anni della dittatura”: sono ancora le amarissime parole del diario di Borghetti, poste alla fine del suo articolo dalla professoressa Coda, che conclude, con tristezza venata dall’affetto: “Peccato che di loro si sappia così poco e che di loro anche ad Ivrea quasi non ci si rammenti. Questo articolo è scritto per ricordarli, con profondo rispetto per il loro impegno e per il loro dolore”.

Cultura

Sarà domani, venerdì 23 aprile, con orario 17.30-19, la prima lezione del corso online di lingua francoprovenzale “Lo francoprovensal: quei qu’ét”,organizzato da Chambra d’Òc in collaborazione con la Città metropolitana di Torino: dieci lezioni gratuite tenute in diretta da Matteo Ghiotto dello Sportello linguistico francoprovenzale della Valle di Susa su piattaforma Zoom. Il secondo incontro sarà venerdì 30 aprile, stesso orario, e quelli successivi tutti i martedì e i venerdì di maggio, sempre dalle 17.30 alle 19.
Il corso è rivolto in particolare al personale della pubblica amministrazione, ma è aperto a tutte le persone interessate a scoprire o a perfezionare la loro conoscenza della lingua francoprovenzale. Ogni singola lezione sarà strutturata in due parti: la prima verterà su aspetti di natura sociolinguistica e culturale, con l’analisi di elementi specifici dell’area francoprovenzale cisalpina e d’oltralpe, mentre la seconda sarà dedicata alla proposta di uno studio grammaticale di base del francoprovenzale. Gli incontri prevedono il coinvolgimento dei partecipanti attraverso la lettura e l’ascolto di testi e la compilazione di esercizi online.
Questo ciclo di lezioni va a integrare il corso “Parlé, leire e eicrire an francoprouvensal a Graviére”, disponibile sul sito della Chambra d’òc già da alcuni anni, che permette a chi lo desideri di sperimentarsi con l’apprendimento della lingua francoprovenzale.
Il corso è promosso dalla Città metropolitana di Torino, realizzato dalla Chambra d’oc e finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del programma di interventi previsti dalla legge 482/99 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, coordinato dalla Regione Piemonte.
Tutte le info e il modulo per l’iscrizione su http://www.chambradoc.it/eventiEPubblicazioni/Corso-online-Il-francoprovenzale-che-cose.page

Cultura

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri a Chieri. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina
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LA CAPPELLA DELL’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI A CHIERI COME LA VIDE DON BOSCO

Nella cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri è in corso un impegnativo restauro curato dalla Città di Chieri con il contributo della Regione Piemonte. Il luogo è caro ai chieresi e ai Salesiani perché tra quelle mura, in quelle stanze e in quei corridoi Don Bosco studiò dall’ottobre del 1835 al 1841, anno in cui terminò, a malincuore, il suo percorso di clericato, come egli stesso ricorda: Mi tornò dolorosissima quella separazione; separazione da un luogo dove ero vissuto per sei anni, dove ebbi educazione, scienza, spirito ecclesiastico e tutti i segni di bontà e di affetto che si possono desiderare”. Il centro visite allestito al primo piano permette di scoprire la vita del Santo e l’ambiente chierese che fu il teatro della formazione di Don Bosco, attraverso un percorso multimediale e la parziale ricostruzione di alcuni ambienti della prima metà dell’Ottocento.
L'oratorio si presenta, chiuso tra la galleria di accesso al convento e la chiesa di San Filippo Neri, come un'aula a navata unica con pianta rettangolare, coperta da una volta a botte costolonata. Il presbiterio è absidato, con cupola e cupolino a pianta ottagonale. La prima edificazione dell'oratorio risale al 1695, come conseguenza dell'ampliarsi del convento e del suo collegarsi alla chiesa di San Filippo. Le opere vennero proseguite tra il 1763 e il 1772, su progetto dell'architetto Galletti. Nell'anno successivo la Congregazione dei Filippini decide di far realizzare l'altare in marmo dell’oratorio, ma la configurazione attuale risale alla fine dell’Ottocento, quando il professor Massoglia demolì il presbiterio e lo ampliò, rifacendo interamente la volta (decorata con affreschi) e l'orchestra. Appartengono a questa fase di rifacimenti neo-barocchi gli stucchi dei fratelli Borgogno e del Gianoli. Dopo la chiusura del seminario, anche l'oratorio, come il convento, andò lentamente depauperandosi. Nel 1801, durante la dominazione francese, chiesa e convento passarono al Comune. Dopo la restaurazione, i padri Oratoriani tornarono in possesso degli edifici, ma nel 1819 chiusero il convento per mancanza di religiosi. Dal 1828 al 1949 l’edificio fu sede del Seminario Maggiore di Torino. Fu più volte parzialmente requisito per essere utilizzato come caserma e poi come carcere nel periodo della Grande Guerra. In seguito il convento fu acquistato dai padri Salvatoriani e successivamente ceduto al Comune.
Dopo la chiusura del seminario, l'oratorio subì un forte degrado degli intonaci dipinti e delle decorazioni a stucco, causato da dilavamenti e infiltrazioni di acqua piovana proveniente dalla copertura superiore, ora sanata, che, fortunatamente, non hanno intaccato la struttura della volta. Non si evidenziano fratture né cedimenti significativi, mentre la superficie pittorica è stata interessata da un processo di erosione e impoverimento, in alcune aree più superficiale in altre più profondo. Anche l’altare purtroppo non è in buono stato di conservazione.
La pavimentazione nella zona presbiteriale risulta complessivamente in buone condizioni, mentre più critico appare lo stato conservativo della pavimentazione dell'aula, in cui si notano lastre fratturate, rappezzi cementizi e lacune.
I lavori di restauro, iniziati nel gennaio di quest’anno, mirano a restituire l’antica cappella all’aspetto di fine Ottocento. Attraverso analisi fisico-chimiche è stato possibile ricostruire l’originale impianto. L’intervento riguarda non solo l’apparato decorativo pittorico e quello a stucco, ma l’insieme della cappella, anche con il recupero impiantistico, finalizzato ad un utilizzo per eventi culturali di vario tipo. L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di dotare la città di una sala ad uso polivalente tornata agli splendori originali e attrezzatacon i più moderni impianti tecnologici. Nella prima fase del restauro sono state ripulite le pareti affrescate, anche attraverso l’estrazione dei sali depositati sulla superficie. Sono state inoltre rasate le parti di intonaco mancanti in seguito a distacchi. Le decorazioni pittoriche sono in corso di ripristino. Nei casi in cui la pittura è completamente asportata si usa la tecnica dello spolvero,che consente di riprodurre la decorazione con assoluta fedeltà all’originale. Le parti mancanti delle numerose figure di puttini sono invece ridipinte in modo non invasivo con la tecnica del puntinato o del rigatino, che permette di ricostruire il disegno, evidenziando però l’intervento, nel rispetto dei dettami del restauro conservativo.cantiere cappella oratorio San Filippo Neri 2

Cultura

La Città metropolitana di Torino in collaborazione con il Polo del 900 celebra l'anniversario del 25 aprile con un evento online.

Lo fa presentando un contest per individuare il nome con cui intitolare il percorso di trekking lungo i sentieri percorsi dai partigiani sulle nostre montagne e nelle nostre valli.

L'iniziativa si inserisce all'interno del piano tematico Pa.C.E. - progetto "Scoprire per promuovere" finanziato dal programma transfrontaliero Interreg Alcotra Italia Francia: obiettivo del progetto è quello di creare un percorso diffuso della Resistenza sparso su tutto il territorio transfrontaliero e reso fruibile sia fisicamente attraverso la messa a sistema con accatastamento e segnaletica dei sentieri partigiani che sono stati teatro della lotta di Liberazione, sia virtualmente attraverso il censimento dei siti internet delle realtà transfrontaliere suddivi per archivi e centri di documentazione, musei ed ecomusei, luoghi della memoria dedicati alla commemorazione.

L’appuntamento è in programma mercoledì 21 aprile alle h 16 per un’ora in diretta streaming sui canali social del Polo del ’900 

Il programma:  Dopo i saluti di Alessandro Bollo direttore del Polo del 900, di Marco Marocco vicesindaco della Città metropolitana di Torino e di Lorenzo Appolonia della Regione Valle d’Aosta, capofila e coordinatore del piano tematico Pa.C.E. una serie di interventi racconteranno nel dettaglio il progetto: Inquadrerà il tema dei sentieri della Resistenza Barbara Berruti, vicedirettore dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” insieme al presidente del Museo diffuso della resistenza, della deportazione, della guerra, dei diritti e della libertà Roberto Mastroianni.

A Carlotta Maiuri, giovane volontaria del servizio civile impegnata in Città metropolitana, il compito di illustrare il lavoro in progress di censimento dei siti internet delle realtà transfrontaliere suddivisi per archivi e centri di documentazione dedicati allo studio della Resistenzamusei ed ecomusei dedicati al racconto della Resistenza; luoghi della memoria dedicati alla commemorazione delle vittime.

Marco Sguayzer della Associazione Col del Lys illustrerà nel dettaglio il cammino  che da Alpette giunge sino a Pian Prà, l'azione di accatastamento dei sentieri che vedrà entro il 2022 la realizzazione della segnaletica lungo tutto il percorso.

In chiusura, dopo il lancio del contest per scegliere il nome del percorso partigiano, sarà l’associazione La Piazzetta  di Giaveno a presentare il progetto dei giovani al lavoro per due itinerari della Resistenza in Val Sangone.