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Presentato a Palazzo Cisterna il libro "Il Consiglio Provinciale e la Grande Guerra"

Anche se il fronte era lontano centinaia di chilometri, cent’anni fa la Prima Guerra Mondiale ebbe profonde ripercussioni su Torino e sull’intero Piemonte. Intere classi di operai, contadini, artigiani, tecnici e intellettuali per oltre tre anni combatterono (e in molti casi purtroppo morirono) nelle trincee delle Alpi Retiche, Carniche e Giulie, mentre nelle fabbriche, nelle botteghe, negli uffici e nei campi dovettero essere sostituiti da donne, giovani o persone la cui età non era più adatta al lavoro.
Fu un vero e proprio terremoto sociale ed economico, di cui, a livello locale, ha inteso dare conto il libro “La Grande Guerra e il Consiglio provinciale di Torino”, curato da Maria Valeria Galliano, che fa parte del direttivo della Consulta permanente dei Consiglieri e amministratori della Provincia e della Città Metropolitana di Torino.
Per iniziativa della Consulta, il libro è stato presentato oggi pomeriggio nella Sala Consiglieri di Palazzo Dal Pozzo della Cisterna, sede storica della Città Metropolitana. A discutere i temi trattati da Maria Valeria Galliano sono stati l’autrice del volume e il generale degli Alpini in congedo Giorgio Blais.
Il libro, uscito per i tipi delle Edizioni SGI Torino, ripercorre i dibattiti e i provvedimenti del Consiglio Provinciale durante lʹamministrazione di guerra, che iniziò prima dell’entrata dell’Italia nel conflitto, nel 1914, protraendosi sino al 1920. Il confronto nell’assemblea è inserito nello scenario delle vicende belliche e delle loro conseguenze sulla vita socio-economica italiana e di Torino in particolare, fino alle soglie dell’avvento del regime fascista.
Nei sei anni dell’amministrazione di guerra in Consiglio si discussero temi amministrativi, ma anche sociali ed economici. Nelle sedute non poteva non giungere l’eco di temi particolarmente sentiti dalla popolazione: il rincaro del costo della vita e la conseguente necessità di un adeguamento degli stipendi dei dipendenti dell’Ente, la carenza di cibo, l’insufficiente distribuzione della farina e del pane, la scarsa qualità delle derrate alimentari, l’eccessiva mortalità infantile anche negli orfanotrofi e brefotrofi, l’arrivo di bambini profughi dal Friuli, le prospettive educative e formative della scuola.
In Consiglio riecheggiava lo scontro tra nazionalisti e interventisti da una parte e socialisti e neutralisti dall’altra. Tra gli interventisti vi era il liberale conservatore Paolo Boselli, per ben 44 anni – dal 1882 al 1926 - presidente dell’assemblea, parlamentare di lungo corso, promotore della fondazione del Politecnico di Torino e Presidente del Consiglio tra il giugno del 1916 e l’ottobre del ’17. A sinistra sedevano il leader sindacale socialista riformista Bruno Buozzi e il massimalista Francesco Barberis. Si discuteva delle visite a Torino del presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson e di una delegazione dei rivoluzionari russi che avevano da poco rovesciato il regime zarista. La Russia stava vivendo la breve fase transitoria in cui, deposto lo Zar Nicola II Romanov, il potere era passato al governo guidato da Aleksandr Fëdorovič Kerenskij. Si discuteva anche dei tumulti della Settimana Rossa, dei sacrifici e delle sofferenze che le classi popolari stavano sostenendo a causa dell’evento bellico, della militarizzazione della produzione industriale particolarmente importante nella Torino della Fiat e di altre grandi aziende, del nuovo ruolo delle donne nel mondo del lavoro, degli scioperi per il pane, dell’influenza “Spagnola” e del suo mortifero dilagare.
Il libro è il ritratto di un’assemblea di carattere amministrativo, ma di grande peso e valenza politica, testimoniato dalla caratura di figure come quelle dei già citati Boselli, Buozzi e Barberis e quella del giovane avvocato Umberto Terracini, socialista massimalista, Consigliere del Mandamento di Lanzo, che fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921 e avrebbe presieduto l’Assemblea Costituente nel secondo dopoguerra. Terminata con la “vittoria mutilata” la Grande Guerra, l’Italia sperimentò il “Biennio Rosso” e la successiva reazione autoritaria, avviandosi a tappe forzate verso la dittatura fascista, che, non a caso, avrebbe finito con il sopprimere gli organi elettivi degli Enti locali. Nel 1926, nell’ultima seduta del Consiglio Provinciale, vennnero dichiarati decaduti i consiglieri socialisti e comunisti ancora in carica, ad eccezione di Terracini, che, ufficialmente, aveva cambiato residenza ed era ritenuto irreperibile. In realtà il leader comunista era in carcere per la sua attività antifascista. La democrazia liberale e le sue istituzioni erano al tramonto. Nel 1927 con un Decreto prefettizio venne sciolta la Deputazione provinciale e venne nominato un commissario. Il fascismo avrebbe poi affidato le funzioni dei Consigli Provinciali ai Rettorati di nomina prefettizia e quelle delle Deputazioni provinciali e dei rispettivi Presidenti a Presidi di nomina regia. Il primo Consiglio Provinciale democratico del secondo dopoguerra sarebbe eletto a Torino soltanto sei anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1951.