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La storia triste dei genitori di Piero Gobetti, dimenticati e morti in povertà

Su Cronache da Palazzo Cisterna un articolo della professoressa Claretta Coda

“Si sa pressoché tutto di Piero Gobetti, ma quasi nulla si sa, invece, dei suoi genitori, Giuseppe Giovanni Battista, da Andezeno, e Angela Luigia Canuto, torinese”. Comincia così l’articolo di Claretta Coda, docente al liceo Aldo Moro di Rivarolo Canavese, che uscirà su Cronache da Palazzo Cisterna venerdì prossimo e che indaga a fondo la triste vicenda del papà e della mamma del “prodigioso giovinetto”, come lo definì Norberto Bobbio: di Angela, che spirò dopo lunga malattia a Ivrea nei giorni dell’occupazione tedesca, il 23 settembre 1943, e di Giuseppe, sopravvissuto alla morte dell’unico figlio e della moglie e deceduto in povertà dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza.
«Ora sono a Torino senza casa e senza famiglia” si legge in una relazione scritta dallo stesso Giuseppe Gobetti per le autorità alleate alla fine della guerra, “cerco di lavorare, ma non trovo nulla perché sono troppo vecchio, e purtroppo è vero, ho 72 anni, e per campare la vita, oggi è un affare serio, non so più come fare, vedo tutto nero, siamo alle porte dell’inverno, mi trovo male in arnese, sono senza scarpe, o sono rotte”. Per approfondire la biografia dei genitori di Piero, la professoressa Coda attinge, oltre che alla relazione di cui sopra, al Ricordo di Gobettidi Manlio Brosio, alla biografia per immagini di Piero Gobetti scritta dal professor Pianciola, al Diario clandestino 1943-46 di Fulvio Borghetti, chimico antifascista torinese, e ai documenti conservati in Istoreto nel Fondo dello stesso Borghetti. “Il mosaico che prende forma grazie ai vari contributi è triste e bellissimo” commenta nel suo articolo, già uscito qualche tempo fa su Canavèis, Claretta Coda.
Giuseppe e Angela Gobetti gestivano una drogheria al numero 9 di via Bertola a Torino, lavoravano dalla mattina alla sera per garantire gli studi e un futuro dignitoso al figlio, che “seguivano con sguardo umile, adorante, quel figliolo che non pareva loro vero d’aver generato e di fronte al quale erano loro stessi i figli”, come ricorda un’altra testimonianza riportata dalla Coda nel suo articolo, quella di Edmondo Rho, uscita su un numero de “Il Ponte” del 1956.
Possiamo solo immaginare il dolore straziante dei genitori per la scomparsa del figlio Piero, morto a soli 25 anni, esule a Parigi, dopo aver subito due aggressioni a opera dei fascisti, oltre all’ostilità inflessibile del regime. Poi la malattia di Angela e la deriva della coppia verso la povertà. Nell’ottobre del 1942 la loro casa torinese, un ammezzato in piazza Carlina, fu bombardata, e dopo il ricovero in un dormitorio per sinistrati dovettero sfollare a Ivrea, aiutati un poco dall’Olivetti e dalla resistenza locale. Angela morì quasi subito in ospedale, Giuseppe aderì alla lotta partigiana aiutando diversi ex prigionieri di guerra alleati in fuga: “Pensavo che il comitato di Torino sbagliava dimenticando il padre di Piero Gobetti, registrato ad Ivrea come ‘sinistrato sfollato che vive di carità’. Anche se la chiedeva con dignità e l’accettava con imbarazzo” scrive Borghetti nel suo diario.
Davvero una vicenda emblematica, questa dei genitori Gobetti, dell’ingratitudine che il nostro paese ha spesso riservato alla sua parte migliore, a coloro che hanno dato tutto per la sua salvezza e la sua dignità, agli eroi silenziosi che l’hanno salvato dal baratro dell’ignominia in cui l’avevano scagliato il fascismo, una guerra scellerata e l’occupazione tedesca.
“Alla sera, vedendo il padre di Gobetti, cerco di immaginare la strada vuota su cui cammina da venticinque anni e ricordo come da solo potrebbe personificare le ingiustizie subite dagli italiani negli anni della dittatura”: sono ancora le amarissime parole del diario di Borghetti, poste alla fine del suo articolo dalla professoressa Coda, che conclude, con tristezza venata dall’affetto: “Peccato che di loro si sappia così poco e che di loro anche ad Ivrea quasi non ci si rammenti. Questo articolo è scritto per ricordarli, con profondo rispetto per il loro impegno e per il loro dolore”.