Prima di entrare sull'aereo che lo avrebbe riportato in Vaticano si è girato per un ultimo saluto con la mano, sulla scaletta, al suo Piemonte.
Per Papa Francesco la visita a Torino è stata una sorta di "ritorno a casa", come lui stesso ha definito l'intensa “due giorni” subalpina. Per colui che, sino a due anni orsono, era semplicemente monsignor Jorge Mario Bergoglio tornare a Torino è stato come compiere un tuffo nel passato: dalla visita alla Chiesa in cui si sposarono i nonni paterni e in cui venne battezzato il padre all'abbraccio dei cugini astigiani.
Ma la visita pastorale del Santo Padre è stata anche e soprattutto rivolta al futuro. Al futuro dei giovani, che si affacciano alla vita adulta con la preoccupazione per un posto di lavoro che è sempre più un miraggio. Al futuro dei migranti, che, ha detto il Papa, non possono essere trattati come merce e consideratoi un mero problema di ordine pubblico. Una visita rivolta al futuro del dialogo interreligioso e all'esigenza di una sempre più feconda fratellanza tra le diverse confessioni cristiane, in un dialogo ecumenico che ha vissuto un momento storico con la prima visita di un Pontefice romano ad un tempio valdese. Nella Torino dei Santi sociali, di Don Bosco e del Cottolengo, nella città del progresso scientifico e tecnologico che però custodisce nella Sindone il mistero della morte e resurrezione di Cristo e della sofferenza umana, il Vescovo di Roma (come Bergoglio ama essere chiamato, proprio in segno di rispetto e comunione con le altre Chiese cristiane) ha avuto una parola e un gesto di attenzione per tutti: per i malati, per i rom, per gli immigrati e per coloro che sono ancora migranti, per gli esclusi dal mondo del lavoro e per chi lotta per difendere il proprio impiego e la propria dignità di lavoratore, per gli imprenditori che lottano contro la crisi ma non delocalizzano le produzioni, per gli agricoltori che difendono l'ambiente e la biodiversità, per i giovani che studiano e cercano un lavoro e per i salesiani che ne curano la formazione, per le persone umili e per i politici che possono decidere il destino di migliaia di loro simili.
Il suo volto, apparso a volte stanco ma sempre sorridente, ha portato serenità e speranza nei volti di centinaia di migliaia di piemontesi, nativi e acquisiti, quella "razza nostrana libera e testarda" cantata dal poeta Nino Costa, che il Santo Padre ha citato nella sua omelia in piazza Vittorio. Da Torino, dalle sue istituzioni, dalla sua gente il Papa ha ricevuto un'accoglienza calorosa e tanti doni simbolici, tra cui le copie delle lettere di Don Bosco, custodite a Palazzo Cisterna, consegnategli dal Sindaco Fassino a nome della Città Metropolitana. A Torino ha donato un messaggio di speranza e la serena certezza che gli uomini di buona volontà, se uniscono le forze, possono cambiare il mondo e sanare le sue ferite. Grazie, Santo Padre. E arrivederci!
(23 giugno 2015)